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      Ciniro figliuolo di Scintaro, bello e grande della persona, da un pezzo s’era innamorato di Elena, ed ella pareva proprio impazzita del giovane. Spesso a tavola si facevano segni tra loro, e brindisi, e si levavano e andavano soli a passeggiare nel bosco. Per questo amore, e non sapendo che fare, Ciniro pensò di rapire Elena, e fuggire: ed ella acconsentì di scapparsene in una delle isole vicine, nella Soverìa, o nell’Incaciata. Avevano già tirato dalla loro tre de’ miei compagni, i più arrisicati: al padre ei non fece trapelar niente, perchè sapeva che lo avrebbe impedito. Quando lor parve il bello, incarnarono il loro disegno. Venuta la notte (io non v’ero, chè a cena m’ero addormentato), essi senza che nessuno li vedesse, pigliano Elena, e presto vanno via. Verso la mezzanotte svegliatosi Menelao, e trovato il letto vuoto e senza la moglie, getta un grido, va dal fratello, corrono alla reggia di Radamanto. Fatto giorno, le vedette dicevano vedere la nave molto lontano: onde Radamanto fa montare cinquanta eroi in una nave d’asfodillo tutta un pezzo, e comanda che gl’inseguano. Fanno gran forza di remi, e verso il mezzogiorno li giungono che già erano entrati nel mare del latte presso all’Incaciata: sì poco mancò che gli amanti non se la svignassero. Legarono la nave con una catena di rose, e rimorchiandola se ne tornarono. Elena piangeva, e stava vergognosa, e si nascondeva la faccia; Ciniro e i compagni furono interrogati da Radamanto se erano accordati con altri, ed essi dissero di no.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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