Dopo di questo cominciai i preparativi per la partenza: ma, essendo già l’ora, andai a cenare con loro. Il giorno appresso andai dal poeta Omero, e lo pregai di farmi un’iscrizione: ei subito me la fece, ed io la scrissi sovra una colonna di berillo, che rizzai sul porto. L’iscrizione era questa:
Luciano che fu caro ai beatiNumi del Cielo, esti beati lochi
Vide, e tornossi nella patria terra.
Essendo rimasto per quel giorno, il dimani partii: gli eroi vennero ad accompagnarmi: tra i quali accostommisi Ulisse, che di nascosto di Penelope mi diede una lettera da portare a Calipso nell’isola Ogigia. Radamanto mandò meco per accompagnarci il pilota Nauplio, acciocchè se fossimo portati a quelle isole, nessuno ci prendesse, chè noi navigavamo per altri affari nostri. Poichè uscimmo di quell’aere odoroso, subito ne circondò un gran puzzo come d’asfalto, di zolfo, e di pece che ardono insieme, ed un fumo stomachevole ed insopportabile, come quello che viene da cadaveri che bruciano: l’aria era scura e caliginosa, e pioveva una rugiada di pegola: e s’udiva rumore di flagelli, e lamenti di molti uomini. Non ci avvicinammo alle altre isole, ma quella su cui smontammo era tutto intorno balze e dirupi nudi, senz’alberi, e senz’acqua: pure arrampicatici per quei precipizii, ci mettemmo per un sentieruzzo pieno di spine e di stecchi, e camminando tra grande squallore ed orrore venimmo alla carcere, al luogo dei supplizi, che era mirabile, e così fatto. Il suolo per ogni parte era irto di spade e di spiedi, e intorno vi scorrevano tre fiumi, uno di fango, uno di sangue, uno più dentro di fuoco; e questo grande ed invalicabile, correva come acqua, gonfiavasi come mare, e aveva pesci quali come tizzoni, quali più piccoli come carboni accesi, e chiamati lucernette.
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