Una sola e stretta è l’entrata, e portinaio stavvi Timone ateniese. Entrati i condotti da Nauplio, vedemmo i supplizi di molti re, e di molti privati, dei quali riconobbi alcuno: vedemmo anche Ciniro che stava ad affumicarsi appiccato pei genitali. Le guide ci contavano la vita di ciascuno, e le cagioni dei supplizi: e dicevano che le pene più gravi sono date a chi dice la bugia qui, specialmente agli storici che non iscrivono la verità, come Ctesia di Cnido, Erodoto, ed altri molti. Ond’io vedendo costoro, tutto mi consolai per me, chè io non so d’aver detto mai bugia.
Tornato subito alla nave, chè non potevo più sostener quella vista, accomiatai Nauplio, e partii. Indi a poco eccoci presso l’isola dei sogni, che pareva e non pareva, proprio come un sogno, chè come noi ci avvicinammo, essa ritraevasi, sfuggivaci, e più e più s’allontanava. Infine l’afferrammo, ed entrati nel porto detto del sonno, presso la porta d’avorio, dov’è il tempio del Gallo, a sera tardi smontammo; ed entrati nella città, vedemmo molti e varii sogni. Ma voglio prima dire della città, chè nessuno ne ha scritto, ed Omero che il solo ne fa menzione, non ne scrisse niente bene. Intorno le gira una selva di alberi altissimi che sono papaveri e mandragori, su i quali sta un nugolo di pipistrelli, soli volatili che nascono nell’isola: vicino le scorre un fiume chiamato il Nottivago, e presso le porte sono due fontane, dette Nonsisveglia e Tuttanotte. Le mura della città sono alte, e variamente colorate come l’iride.
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