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      Onde nessuno dei generosi, che come me fremevano, ardiva di tentar qualche fatto: la libertà era sfidata, la tirannide pareva invincibile, contro due non potersi tentare. Per me, io non m’atterrii; nè, pensata la difficoltà dell’impresa, mi scuorai; nè, veduto il pericolo, mi ritrassi per paura; ma solo, io solo contro sì potente e salda tirannide, anzi non solo, ma con la mia brava spada che fu anch’essa tirannicida, m’avviai avendo innanzi agli occhi la morte, e pur deliberato di riscattare la comune libertà col mio sangue. Scontrata la prima guardia, e fugatala non senza sforzo, uccidendo chi mi si para dinanzi, e rovesciando ogni ostacolo, giungo a chi faceva tutto il male, ed era la sola forza della tirannide, la sola cagione delle nostre miserie; nel cuor della rocca lo assalto, e benchè egli combatta valorosamente e resista, pur con molte ferite l’uccido. Allora fu distrutta la tirannide, compiuta la mia impresa; e da quel punto tutti fummo liberi. Rimaneva solo il vecchio, inerme, senza guardie, senza il figliuolo che era il suo grande sgherro, abbandonato da tutti, indegno di finire per una mano generosa. E qui, giudici, io così pensavo tra me: Tutto m’è riuscito felicemente, tutto è fatto, tutto va bene: in qual modo sarà punito l’altro? Non merita che l’uccida io con questa mano che ha operato quel fatto sì bello, sì splendido, sì nobile; ei disonorerebbe quel fatto: trovi un carnefice degno di lui: ma dopo la sua sventura non abbia neppure questa ventura. Veda, si strazii, abbia la spada innanzi gli occhi: a questo affido il resto.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538