Io mi ricordo che sta scritto nella legge (se pure la lunga servitù non mi ha fatto dimenticarne le parole) che sono egualmente colpevoli e chi uccide uno, e chi non l’uccide di sua mano ma dell’altrui; e l’uno e l’altro la legge punisce di egual pena. E giustamente; perchè non vuole che il fatto sia da meno del consiglio; e non cerca del modo. Or chi uccide per consiglio tu credi giusto che come omicida debba esser punito senza remissione; e chi per lo stesso modo fece un bene alla città non lo credi degno del premio dovuto ai benefattori?
Nè puoi dire che io l’ho fatto a caso, che il bene che n’è venuto non era nella mia intenzione. – E che potevo più temere, ucciso il più forte? E perchè gli lasciai la spada fitta nella gola, se non perchè prevedevo ciò che è successo? salvo se tu non dici questo, che non era tiranno il morto, che non aveva questo nome, e che voi non volevate dare più d’un premio, se ei fosse morto. Questo non puoi dirlo. Ora, ucciso il tiranno, non darai tu premio a chi è stato cagione della sua morte? Oh quanti scrupoli! Godi la libertà, e ti curi del come egli è morto? e chiedi qualche altra cosa da chi ha restituita al popolo la signoria? Eppure la legge, come tu dici, riguarda il fatto principale; i modi accessorii li lascia, non se ne cura. Forse chi scaccia un tiranno non ha il premio come chi l’uccide? Sì giustamente, perchè egli ha data la libertà, e tolta la servitù. Io non li ho scacciati, sì che v’è paura che ritornino, ma li ho distrutti interamente, ho spenta tutta la schiatta, ho sterpata dalle radici la mala pianta.
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