Ti pare adesso che io meriti onore, o vuoi anche un’uccisione? E se vuoi un’uccisione, eccotela: io son lordo di sangue: ne ho fatta una grande e forte; ho ucciso un giovane nel fior degli anni, terribile a tutti, pel quale il tiranno non temeva insidie, nel quale solo confidava, il quale gli valeva per mille guardie. Non son degno di premio ancora? dopo questo fatto debbo andare inonorato? E che, se avessi ucciso un cagnotto, un ministro, un servo prediletto? Non saria stato un grande ardire montare in palazzo, ed in mezzo a tante armi, uccidere uno degli amici del tiranno? Ma eccoti morto lui stesso. Era figliuolo del tiranno, anzi tiranno più fiero, padrone più aspro, punitore più crudele, insultatore più violento, e, quel che è peggio, erede e successore che avria potuto prolungare d’assai le nostre miserie. Vuoi tu che io abbia fatto solo questo? che il tiranno viva ancora e sia fuggito? Ebbene, e per questo io chiedo il premio. Che dite? non me lo darete? Non abborrivate anche colui? non era egli despoto? non era egli grave? non insopportabile? Ma veniamo al punto principale. Ciò che costui chiede da me, io, secondo mio potere, l’ho fatto benissimo: ho ucciso il tiranno con una nuova maniera, non d’un colpo solo, come egli avria voluto dopo tante ribalderie, ma con tutti gli strazi del dolore, mostrandogli innanzi agli occhi l’amor suo miseramente trafitto, un fior di figliuolo, benchè malvagio, pure simile al padre, tutto sparso di sangue e di sanie. Lì si ferisce un padre: questa è la spada de’ veri tirannicidi, questa è morte degna di crudeli tiranni, pena conveniente a tanti misfatti.
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