– Così dicendo s’affrettò ad uccidersi, tremando, dibattendosi tra il desiderio e l’impotenza di morire.
Quante pene sono queste? quante ferite? quante morti? quanti tirannicidii? e quanti premii mi dovreste dare? Finalmente voi tutti vedeste quel giovane terribile fatto cadavere, e il vecchio abbracciato ad esso, e misto il sangue d’entrambi, libazione grata alla libertà vincitrice; vedeste la mia spada che tutto fece, e che stando in mezzo a tutti e due mostrava come non era stata indegna del suo padrone, e fedelmente mi aveva servito. Questo fatto mio solo era poca cosa: ora per la sua novità è splendidissimo. Il distruttore di tutta la tirannide son io: ma le parti sono state divise come in un dramma. La prima ho rappresentata io, la seconda il figliuolo, la terza esso tiranno; la spada servì a tutti.
XXVIII.
IL DIREDATO.
ARGOMENTO.
Uno diredato imparò medicina. Essendo impazzito il padre e sfidato dagli altri medici, egli datogli un rimedio, lo risana, ed è riaccettato in famiglia. Dipoi impazzisce la madrigna: gli è imposto di risanarla: egli dice che non può, ed è un’altra volta diredato.
Non è nuovo, o giudici, nè strano questo che ora fa mio padre, nè ora la prima volta ei si sdegna così, ma è sua usanza di aver ricorso a questa legge e di venire a questo tribunale. Bensì nuova è la mia sventura: chè io non ho alcuna colpa, e sto in pericolo d’avere una pena per l’arte mia che non può ubbidire a tutto ciò che egli impone. E quale stranezza è maggiore di questa, medicare per comando, non secondo il potere dell’arte, ma secondo il volere del padre?
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