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      Quel discolo e disubbidiente di me che svergognavo il padre, e con le mie azioni disonestavo la famiglia, come egli allora a gran voci gridava e perfidiava, non volli rispondergli che poche parole. Uscito della casa pensai che un gran giudizio ed una verace sentenza sarebbe per me la vita che menerei di poi, il mostrare col fatto che io non ero quale mi diceva mio padre, l’attendere a buoni studi, il conversare con valenti uomini. Prevedevo anche qualche cosa, e già sospettava che mio padre non istava troppo in senno, perchè si sdegnava senza motivo, e accumulava false accuse contro un figliuolo: e ci erano alcuni i quali credevano essere un principio di pazzia quelle sue minacce, e gli altri sintomi del male che l’assaliva, quell’odio senza ragione, quell’invocare il rigor della legge, quelle ingiurie che mi diceva, quel triste giudizio, quelle grida, quelle furie, insomma tutto quel tempestare che ci faceva. Però mi parve che forse la medicina mi potria qualche volta bisognare. Andandomi adunque pellegrino, e conversando coi più valenti medici in paesi stranieri, con grande fatica e assiduo studio imparai l’arte. Ritornato, trovo il padre del tutto pazzo e sfidato dai medici del paese, i quali non vedevano a dentro, nè discernevano bene le malattie. Come era debito di buon figliuolo non ricordai che egli mi aveva diredato, nè aspettai d’essere chiamato: non me la pigliavo con lui, perchè tutto quel male non me l’aveva fatto egli ma la malattia. Andato adunque senza chiamare, non lo medicai subito; chè non è nostra usanza così fare, nè l’arte ci consiglia questo, ma prima di tutto la c’insegna di considerare se risanabile è la malattia, o se è insanabile e trapassa i termini dell’arte.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538