Allora se vi si può metter mano, ve la mettiamo, ed adoperiamo ogni diligenza per salvar l’ammalato: ma se vediamo che il male ha soverchiato e vinto, non lo tocchiamo affatto, serbando un’antica legge dei medici padri dell’arte, che dicono non doversi metter mano a’ casi disperati. Io adunque vedendo qualche speranza per mio padre, e che il male non era maggiore dell’arte, dopo di avere osservato e considerato attentamente ogni cosa, presi a medicarlo, e con piena fiducia gli porsi il rimedio, benchè molti de’ presenti facessero tristi sospetti, sparlassero della cura, e si preparassero a darmi un’accusa. V’era presente anche la madrigna sbigottita e diffidente, non perchè m’odiava, ma temeva sapendo bene come egli stava male: ella sola conosceva tutta la gravezza della malattia, perchè gli stava sempre vicino e l’assisteva. Ma io niente smagato, perchè sapevo che i segni non m’ingannavano e l’arte non mi tradirebbe, seguitai la cura incominciata. Eppure parecchi amici mi consigliavano di non esser troppo ardito, perchè, non riuscendo, le male lingue più si sfrenerebbero, che per vendicarmi avevo dato quel medicamento al padre, ricordandomi dei maltrattamenti sofferti. Fattostà egli in breve fu salvo, tornò in sè, riconobbe tutto: i presenti ne maravigliavano, la madrigna n’era lietissima e con tutti faceva gran festa per me ch’ero riuscito, e per lui rinsavito. Egli (debbo rendergli questa testimonianza) senza indugio e senza consiglio altrui, poichè seppe tutto da chi era stato presente, tolse via la diredazione, mi fece figliuolo come prima, chiamandomi salvatore e benefattore, confessando di averne avuta allora esperienza certa, e scusandosi del passato.
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