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      Io dico che questa sarebbe una cosa ingiustissima, che così le pene dei figliuoli sarebbero senza fine, le condanne molte, il timore perpetuo; che la legge ora seconderebbe lo sdegno del padre, indi a poco la dolcezza, per tornare subito al rigore; che insomma anderebbe sossopra il diritto, e muterebbe secondo il capriccio dei padri. La prima volta sta bene a prender parte allo sdegno del genitore, e farlo padrone di punire; ma se ha consumato quest’atto della sua potestà, ha usato della legge, ha disfogata l’ira, e poi pentito e persuaso che il figliuolo è buono, lo ha richiamato; a questo bisogna fermarsi, non più retrocedere, nè rimutare consiglio, nè rifare giudizio. Quando nasce un figliuolo, non c’è alcun segno per discernere se riuscirà buono o cattivo; però quando riesce indegno della famiglia, il padre che lo ha allevato non sapendo che riuscita farebbe, lo può scacciare. Ma quando non di necessità ma di spontanea volontà, e dopo di averlo sperimentato, lo hai ripreso, come puoi più rimutarti, di qual altra legge vuoi usare? Il legislatore ti può dire: Se costui era un malvagio, e meritevole d’essere diredato, perchè l’hai richiamato? perchè ricondotto in casa? perchè annullata la legge? Eri libero, e padrone di non far questo. Non ti è lecito scapricciarti con le leggi, nè stravolere dei giudizi, nè ora cassare ed ora far valere le leggi; e così tenere i giudici come testimoni, anzi come servitori, a cui dici punisci, e quei puniscono; assolvi, e quegli assolvono, secondo che a te garba.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538