Oh qual contrasto tu poni, o padre, tra le leggi e la natura! Non è così, non è così, come tu vuoi: male interpetri, o padre, le leggi che sono fatte a fine di bene. Non pugnano natura e leggi in fatto di amore, ma si accordano tra loro, e si aiutano per togliere le offese. Tu ingiurii il tuo benefattore, offendi la natura: e non sai che con la natura offendi anche le leggi? Le quali vogliono essere buone, giuste, benevole ai figliuoli, e tu non le vuoi così, e le rivolgi spesso contro l’unico tuo figliuolo, come se ne avessi molti, e le fai sempre punire, mentre esse vogliono solo amore tra figliuoli e padri, e neppure ci sono quando non c’è peccato. Le leggi danno il diritto di accusare d’ingratitudine coloro che non rimeritano i benefattori: chi poi oltre al non rimeritare, vuole anche punire uno che gli ha fatto bene, considerate voi se v’è iniquità maggiore di questa. Dunque che costui non possa più diredare, avendo già usato una volta della patria potestà e della facoltà delle leggi; e che d’altra parte non sia giusto diredare un cotanto benefattore e scacciarlo di casa, credo di avere a bastanza dimostrato.
Veniamo ora alla causa della diredazione, e consideriamo quale è questa colpa. Bisogna di nuovo ricorrere alla mente del legislatore. Ti concediamo per poco che tu possa diredare quante volte vuoi, e ti diamo questa potestà anche contro a chi ti ha beneficato: ma non alla cieca e per tutte le cause tu puoi diredare. Il legislatore non dice: Per ogni cagione che abbia il padre, diredi: basta che ei voglia solamente ed accusi.
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