Allora che bisogneria giudizio? Ma comanda che voi, o giudici, esaminiate se sono grandi e giusti, o pur no, i motivi dello sdegno del padre. Questi adunque considerate. Comincerò da dopo la pazzia immediatamente. La prima cosa che fece il padre, riacquistata la conoscenza, fu annullare la diredazione: io salvatore, io benefattore, allora io era tutto. In questo non ci poteva esser colpa, credo. Dipoi, di quali cose egli mi accusa? Quale cura, qual sollecitudine filiale io non ho avuta per lui? Qual notte ho dormito fuori casa? Quai stravizzi e gozzoviglie egli mi rinfaccia? Quai libidini? Con qual ruffiano mi son bisticciato? Chi mi accusava? Nessuno. Eppure queste sono le cause per le quali la legge permette il diredare. – Ma cominciò ad ammalarsi la madrigna. E che? ci ho colpa io? vuoi conto da me della malattia? – No, dic’egli – E dunque? – Io ti ho comandato di curarla, e tu non hai voluto, e però meriti d’esser diredato, avendo disubbidito a tuo padre. – Che io paia disubbidiente ad una specie di comando, cui non potevo ubbidire, ne discorrerò tra poco: ora voglio semplicemente dir questo, che la legge non concede a lui di comandare ogni cosa, nè obbliga me ad ubbidirgli in tutto. In fatto di comandi, alcune cose non vanno soggette al voler tuo, altre sì, e puoi per esse sdegnarti e punire; se ti ammali, ed io non me ne curo; se mi comandi di badare alle faccende di casa, ed io le abbandono; di attendere alla campagna, ed io fo il sordo. Queste e simili altre sono cagioni ragionevoli che un padre ti riprenda: ma le altre cose stanno in potere di noi altri figliuoli, e sono quelle che riguardano un’arte e il suo esercizio; massime se il padre non ne riceve alcuna offesa.
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