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      Ma pensa ancora a questo, che tu adoperi contro ogni ragione a non lasciarmi usare liberamente della roba mia. Quest’arte io imparai che non ero più tuo figliuolo, nè soggetto all’arbitrio tuo (eppure l’imparai per te, e tu primo n’hai goduto), nè mi ebbi da te alcun aiuto per impararla. Qual maestro hai pagato? qual fornimento di farmachi hai comprato? Nessuno. Io povero, e privo del necessario imparai per la carità dei maestri. La provvisione che io avevo da mio padre per lo studio era tristezza, abbandono, miseria, odio di parenti, avversione di congiunti. E per questo pretendi adesso di usare dell’arte mia, e vuoi esser padrone di ciò che io acquistai quando tu non eri padrone? Ti basti che tu primo, senz’obbligo mio, spontaneamente avesti da me tanto bene, quando non potevi richiedermi niente, neppure ciò che allora era grazia. La mia beneficenza non mi deve diventare un’obbligazione per l’avvenire; l’aver fatto un bene di mia volontà non deve stabilire una ragione per comandarmi contro mia volontà; nè si può mettere l’usanza che chi ha curato un infermo, deve curare quanti altri quell’infermo vuole: chè così gl’infermi sarebbero nostri padroni, e la mercede che ne avremmo saria doverli servire e fare tutto ciò che ci comandassero: il che saria nuovo davvero! Perchè ti ho risanato da una grave malattia, però credi di potere abusare dell’arte mia? Questa risposta potrei fargli, ancorchè egli mi comandasse una cosa possibile: in fatto poi io non sono uomo da fare il volere altrui; neppure costretto da necessità.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538