i, io non piglierei facilmente a medicarla, non mi attenterei così subito a darle un farmaco: temerei una cattiva riuscita, e la infamia grande che me ne verrebbe. Non vedi come è generale opinione che tutte le madrigne, benchè buone, hanno in odio i figliastri, e che questa è come una femminile pazzia che tutte hanno? Forse qualcuno, se la malattia andasse al peggio, e i rimedii fossero inefficaci, sospetterebbe malignità ed insidia nella cura.
La donna tua, o padre, è in questi termini: ed io, dopo matura osservazione ti dico, che ella non istarà mai meglio, anche bevendo diecimila medicamenti: e però non si può tentar nulla, se pur non vuoi assolutamente che io abbia e scacco ed infamia. Lascia che io sia invidiato dai miei rivali nell’arte. Se tu mi direderai un’altra volta, io, benchè abbandonato da tutti, non te ne vorrò alcun male. Ma se, che Dio non voglia, la malattia ti ritorna, che dovrò fare? Oh, sappi che io ti curerò anche allora, non abbandonerò mai quel posto che natura assegnò ai figliuoli, non mai mi dimenticherò del sangue mio. E se poi racquisterai il senno, e mi raccetterai un’altra volta, ti dovrò credere io? Vedi? Facendo così tu richiami la malattia, e la risusciti. Son pochi giorni che ti se’ ristabilito di sì fiero male, ed ora fai questi sforzi, questi gridi, e, quel che è peggio, ti adiri tanto, e torni ad odiarmi, e ad invocare le leggi. Ahimè, padre mio, così cominciò la tua prima pazzia.
XXIX.
FALARIDE PRIMO.
Noi siamo inviati, o Delfi, da Falaride signor nostro a presentare questo toro al dio, ed a dichiarare a voi alcune cose intorno a lui ed a questa offerta.
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Dio Delfi Falaride
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