Ho vedette nei porti per esplorare chi sono e donde approdano, acciocchè io possa convenevolmente onorarli e rimandarli. Alcuni ancora vengono a posta da me, e sono sapientissimi Greci, e non fuggono il conversare con me: come poco fa ci venne Pitagora, che aveva di me un’opinione contraria, ma poi che vide e toccò con mano i fatti, se ne partì lodando la mia giustizia, e commiserando la necessaria crudeltà. E credete voi che un uomo benigno con gli strani, sia così oltraggioso verso i suoi, se non è stato soverchiamente oltraggiato? Queste cose vi dicevo per mia giustificazione, che sono vere e giuste, e più degne di lode, come io mi persuado, che di biasimo.
Intorno poi all’offerta, udite ora come son divenuto padrone di questo toro, che io non commessi io allo scultore: non sarei stato sì pazzo da aver capriccio di un tale acquisto. Era nel nostro paese un Perilao, buon artefice, ma cattivo uomo, il quale ingannatosi assai nel giudicare dell’animo mio, credè farmi cosa grata ad escogitare una nuova pena, come se io non desiderassi altro che punire. Ed avendo fatto questo toro, me lo portò, bellissimo a vedere, e naturalissimo, che gli mancava solo il moto ed il muggito per parer vivo. A vederlo, io subito esclamai: L’è cosa degna d’Apollo: il toro si dee mandare ad Apollo. E Perilao che mi era presente, disse: Vuoi conoscere ancora la virtù che è in esso, e l’uso cui può servire? Ed aprendo il toro presso al dorso, soggiunse: Se vuoi punire qualcuno, mettilo in questa macchina, e chiudila, poi farai adattare questi flauti così alle narici del toro, e sotto esso accendere fuoco: quegli dentro piangerà e griderà per lo strazio immenso che ei sente, e il suo grido uscendo per i flauti ti farà un suono armonioso, sonerà la sua nenia, muggirà flebilmente: sicchè mentre quegli è punito, tu sei dilettato dal suono dei flauti.
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