Cotali cose non bisogna del tutto crederle neppure a quelli che dicono di averle patite, perchè è incerto se dicono il vero; molto meno conviene a noi, che non le conosciamo, farne un’accusa. Ma se anche qualcosa di queste è avvenuta in Sicilia, non ce ne dobbiam brigare noi in Delfo, se non vogliamo invece dei sacerdoti fare i giudici, invece di sacrificare e ufficiare il Dio e raccogliere le offerte che si mandano, stare a discutere se oltre il Jonio ci ha tiranni giusti o ingiusti. Gli affari degli altri vadano a modo loro: noi, credo io, dobbiamo badare ai nostri, che come andarono per lo passato, così vadano al presente, o fare il nostro meglio per l’avvenire. Che noi abitiam fra le rupi, e coltiviamo le pietre non dobbiamo aspettare che ce lo dica Omero, ma lo vediamo; e se fosse per le nostre terre, potremmo morir di fame. Il tempio, Apollo, l’oracolo, i sacrifizi, i divoti, questi sono i campi di Delfo, questi l’entrata, di qui l’abbondanza, di qui il nostro sostentamento (siamo tra noi, e bisogna dire il vero), e come dicono i poeti, senza arare e senza seminare ci nascono tutti i beni; il nostro Iddio coltiva i nostri campi, e ci dà non pure i beni che nascono tra gli altri Greci, ma se ve n’è tra i Frigi, i Lidii, i Persi, gli Assirii, i Fenicii, gl’ltalioti, gl’Iperborei stessi, tutto viene in Delfo. Dopo il Dio siamo onorati noi da tutto il mondo, non ci manca niente, siamo beati d’ogni cosa. Così ab antico, cosi fin’ora; seguitiamo a vivere così. Nessuno ricorda che da noi si è fatto mai un giudizio sopra un’offerta, nè si è vietato ad alcuno di sacrificare ed offerire: e così, a creder mio, il tempio è tanto cresciuto e straricchito in offerte.
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