Arriano discepolo di Epitteto, assai riputato tra i Romani, e vissuto di studi quasi tutta sua vita, fece un’opera simile a questa, e scusa anche noi. Ei non isdegnò di scrivere la vita di Tilliboro ladrone: e noi di più crudel ladrone farem memoria; il quale non nei boschi e nei monti, ma nelle città ladroneggiava; non andò correndo la sola Misia e l’Ida, nè depredò poche contrade abbandonate dell’Asia, ma quasi tutto l’impero romano riempì di sue ladronerie.
Primamente voglio fartene il ritratto, quanto posso al naturale, benchè io non sia troppo buon dipintore. Della persona (per ritrartene anche le fattezze) era grande e bello, e veramente divino; bianca la pelle, poco folta la barba, la chioma mescolata di capelli posticci similissimi che nessuno avria potuto distinguere, gli occhi lucenti e splendenti, la voce dolcissima insieme e sonora, insomma bellissimo, e senza una menda. In siffatto corpo era un’anima, ed un’indole.... o Ercole scacciamali, o Giove protettore, o Dioscuri salvatori, meglio venire a mano di nemici ed avversarii che d’un uomo tale! D’intelligenza, di sagacia, d’astuzia era singolarissimo: avido di sapere, pronto ad imparare, memoria maravigliosa, gran dispostezza alle scienze, in ogni facoltà superlativo, ma ne usava al peggio; ed essendo padrone di questi nobili istrumenti, tosto superò i più famosi malvagi, e i Cercopi, ed Euribate, e Frinonda, e Aristodemo, e Sostrato. Egli una volta scrivendo a Rutiliano suo genero, e parlando di sè modestamente, si paragonava a Pitagora.
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