E poi che la città si fu piena di genti, che avevano perduto ogni conoscenza e sentimento, non ritenendo di uomini mangiapane altro che le fattezze, e nel rimanente essendo pecore; egli mostrasi in una cameretta, seduto sovra un letto, in magnifici paramenti, e tenendosi in seno quell’Esculapio di Pella grandissimo e bellissimo. Il quale essendo lungo, egli se lo aveva avvolto intorno al collo, una parte gliene stava innanzi nel seno, e la coda strascicava per terra: e nascostasi sotto l’ascella la testa del serpente pazientissimo, sporgevagli da un lato della barba quell’altra testa fatta di tela, e che pareva fosse veramente la testa del serpe. Immagina una cameretta non lieta, nè bene illuminata, ed una moltitudine di uomini sconvolti, turbati, stupiditi, stimolati da speranze; i quali entrando vedono la gran maraviglia di quel serpentello divenuto in pochi dì un così gran drago, e con faccia umana, e mansueto. Erano poi costretti ad uscire subito: e prima di vedere bene, erano spinti ed incalzati da altri che entravano continuamente. Dirimpetto la porta era stata aperta un’uscita, come fecero i Macedoni in Babilonia, quando sparsasi la voce che Alessandro stava ammalato, stava per morire, tutti vollero vederlo e dirgli l’ultima parola. E questa mostra non la fece una sola volta quel furbo, ma molte, e massime se gli capitava qualche ricco nuovo pesce.
Intanto, o mio Celso, se si dee dire il vero, bisogna compatire a quegli uomini grossi ed ignoranti di Paflagonia e di Ponto, se s’ingannavano toccando il serpente, che Alessandro faceva toccare a chiunque il volesse, e rimirando a un po’di barlume quella testa che apriva e chiudeva la bocca, con tale un ingegno che ci avria voluto un Democrito, un Epicuro, un Metrodoro, o un altro con la ragione ben salda contro queste e simili ciarlatanerie, da non vi prestar fede, ed odorar ciò che era; e se non indovinava il modo, almeno essere fermamente persuaso di non conoscere il meccanismo, ma tutto essere un’impostura, e non possibile ad avvenire.
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