In breve vi accorsero genti di Bitinia, di Galazia, di Tracia, e tutti tornando dicevano di aver veduto con gli occhi loro nascere il dio, e crescere in ismisurato drago, e di averlo toccato con le mani, e che aveva la faccia come un uomo: dippiù se ne fecero pitture, sculture, immagini in bronzo ed in argento, e fu messo anche un nome al dio. Si chiamava Glicone, come per divino comando in due versi aveva detto Alessandro:
Son Glicone, nipote di Giove,
E degli uomini sono la luce.
Come fu giunto il tempo di dare i responsi e di fare i pronostici, per il che egli aveva messi in opera tanti ingegni, tolse ad imitare ciò che fece Anfiloco in Cilicia; il quale dopo che suo padre Anfiarao morì e scomparve in Tebe, fuggendo dalla patria e venuto in Cilicia, vi fece buoni guadagni predicendo il futuro, e vendendo le risposte due oboli l’una. Tenendosi adunque Alessandro a questo esempio, annunziò a tutti quelli che erano accorsi come il dio darebbe suoi responsi il tal dì, e lo determinò. Comandò che ciascuno scrivesse ciò che voleva sapere in una carta, cucita in una pezzuola e suggellata con cera, creta, o altra simile materia: che egli poi prenderebbe le polizze suggellate, ed entrato nel santuario (già era innalzato il tempio e la scena preparata) farebbe chiamare ad uno ad uno per un banditore e un sacerdote quelli che gliele avevan date: e udita ogni cosa dal dio, restituirebbe le polizze suggellate come erano con le risposte scritte sotto le dimande. Quest’astuzia ad un uomo come te, e posso anche dir come me, è chiara: ma quei poveri mocciconi non ne erano capaci, e la tenevano un prodigio.
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