Ed aveva fatta una legge che nessuno che avesse più di diciotto anni gli si appressasse alla bocca, e lo salutasse col bacio: a tutti porgeva la mano a baciare; ai bei giovani la bocca: onde quelli chiusi con lui si chiamavano gli ammessi al bacio. E coś egli insultava a quei poveri sciocchi, svergognandone le donne, corrompendone i figliuoli. E quei tenevano a gran ventura, se egli gettava pure uno sguardo alla moglie di alcuno; e se poi la degnava di un suo bacio, credevano che tutti i beni del mondo pioverebbero in casa loro: molte si vantavano di esser gravide di lui, ed i mariti affermavano che elle dicevano il vero.
Ora voglio raccontarti un dialogo tra Glicone ed un uomo di Tio(40) a nome Sacerdote: e dalle dimande vedrai senno. Io l’ho letto io stesso scritto in lettere d’oro nella casa di Sacerdote in Tio. — Dimmi, o potente Glicone, chi se’ tu? — Io sono il nuovo Esculapio. — Altro dall’antico, o desso? — A te non lice saperlo. — Quant’anni rimarrai fra noi a dare oracoli? — Mille e tre. — E poi dove anderai? — In Battro, e nelle vicine contrade: anche i barbari debbono godere della mia presenza. — Gli altri oracoli in Didimo, in Claro, in Delfo sono di Apollo tuo avo, o son falsi i responsi che vengono di là? — Non cercar di sapere cotesto, chè non lice. — Ed io che saṛ dopo questa vita? — Camello, poi cavallo, poi sapiente, poi profeta non minore d’Alessandro. — E questo fu il dialogo tra Glicone e Sacerdote. Infine sapendolo amico di Lepido, dissegli quest’oracolo in versi.
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