Andatovi, lo trovai accerchiato da molta gente: per buona fortuna avevo meco i due soldati. Egli mi porse la mano destra a baciare, come soleva fare a tutti; ed io attaccandovi le labbra come per baciarla, con un buon morso poco mancò che non gliela storpiai. Quella gente voleva strangolarmi ed uccidermi come sacrilego; e già da prima s’erano scandalezzati che io lo avevo chiamato Alessandro, e non profeta; ma egli generosamente si tenne l’offesa, si rabbonì, e promise loro che subito m’avria fatto dolce e persuaso, mostrandomi la potenza di Glicone, il quale si fa amici anche i più acerbi. E fatti allontanare tutti, si giustificava con me, dicendo: Io ben ti conosco, e so quai consigli hai dato a Rutiliano: oh, perchè mi fai questo, quand’io posso giovarti appo di lui? Io feci sembiante di compiacermi di questo segno di benevolenza, vedendo a che pericolo m’ero messo: e tosto mostrai che gli tornavo amico. E gli astanti fecero grandi maraviglie, vedendomi sì subitamente mutato.
Dipoi essendomi determinato a partirmi, ei mandommi di molti doni ospitali (dovevo partire io solo con Senofonte, avendo già mandato mio padre ed i miei in Amastri), e ci profferse di darci egli una nave e rematori per menarci via: ed io me lo tenni a buona e sincera cortesia: ma come fummo in alto mare, vedendo il pilota piangere e contendere di non so che coi marinai, venni in fieri sospetti. Alessandro aveva loro commesso di prenderci e gittarci in mare: il che se fosse stato, egli avria fatta gran vendetta di me.
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