Aveva profetato di sè che gli era destinato di vivere centocinquanta anni, e che poi morrebbe di fulmine; ma con miserabile fine morì di settant’anni, come degno figliuolo di Podalirio, per cancrena che da un piede gli salse all’inguine, e tutto roso da vermini. Ed allora si scoprì che egli era calvo, quando i medici gli bagnavano la testa per i dolori che vi aveva: il che non potevano fare se non tolta la parrucca.
Tale fu il fine della tragedia di Alessandro, e la catastrofe di tutto il dramma: la quale parve avvenuta per provvidenza, e fu caso. Ma bisognava ancora che il suo funerale fosse degno della sua vita, e che per succedergli nascesse un contrasto tra i principali ribaldi e ciurmadori che lo avevano accerchiato: i quali andarono da Rutiliano e lo fecero arbitro di scegliere tra loro chi dovesse avere l’oracolo, ed essere coronato con le bende di ierofante e di profeta. Tra costoro era un certo Peto, medico di professione e vecchio, il quale fece cose sconvenevoli all’arte ed alla sua canizie. Ma l’arbitro Rutiliano li mandò via, e non volle coronare nessuno, serbando ad Alessandro il diritto di profetare anche dopo la morte.
Questi pochi fatti ho voluto scrivere come un saggio di molti altri, sì per far cosa grata a te, che mi sei caro amico e compagno, e che io ammiro grandemente pel sapere che hai, per l’amore che porti alla verità, per i tuoi dolci costumi, per la tua moderazione, per la tranquillità della vita, e per la cortesia che usi con chi teco conversa; e sì ancora, il che certo ti piacerà, per vendicare Epicuro, divino sacerdote della verità, della quale egli solo ha conosciuta e rivelata la bellezza, e liberatore di coloro che ne seguitano le dottrine.
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