Ti bisognerà dunque una lunga difesa innanzi alle persone colte, se non vuoi essere del tutto scartato e scacciato dalla schiera degli studiosi. Il meglio sarebbe, a creder mio, medicar tutto col negare, e non confessare affatto che hai commesso questo scandalo. Per l’avvenire poi bada che, senza nostra saputa, da uomo che eri una volta, non diventi una femmina Lida o una Baccante: il che saria una vergogna non solo per te, ma anche per noi, che non ti abbiamo, come fece Ulisse, strappato dal loto e ricondotto ai consueti studi prima che fossi del tutto preso dalle Sirene nel teatro. Eppure quelle insidiavano alle sole orecchie, però con un po’ di cera si passava innanzi a loro; ma tu pare che ci abbi invischiati anche gli occhi.
Licino. Bravo, o Cratone, con che furia m’hai sguinzagliato il tuo cane addosso! Ma l’esempio dei Lotofagi e il paragon delle Sirene non calza punto al fatto mio: chè chi gustava il loto e udiva le Sirene ne aveva in premio la morte; ed io ne ho un piacere assai dolce, ed infine me ne viene bene; chè io non mi sono ridotto a dimenticarmi la casa mia, e a non riconoscere più me stesso; anzi, se debbo dirla francamente, molto più savio esco del teatro, e più perspicace nelle faccende della vita. E si può ben dire con Omero, che chi vede questo spettacolo:
Ritorna tocco di dolcezza il core,
E di bello saper ricca la mente.
Cratone. Per Ercole, o Licino, tu se’ ito! e non pure non ti vergogni di questo, ma te ne vanti. E il peggio è, che non ci dai speranza di risanare, osando di lodare cose sì turpi e vituperevoli.
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