Le favole egizie che sono più misteriose egli saprà sì, ma rappresenterà simbolicamente con segni, dico Epafo, ed Osiride, e le trasformazioni degl’iddii in animali. Ma innanzi tutto i loro amori, specialmente di Giove, e in quante figure si mutò. Saprà tutti i terribili racconti dell’Orco, e i castighi, ed i delitti di ciascuno, e Teseo e Piritoo sino all’orco amici. E per dir tutto in una volta, ei non deve ignorare niente di ciò ch’è stato detto da Omero, da Esiodo, e dai migliori poeti, massime dai tragici. Queste ben poche cose tra le molte, anzi tra le infinite, ho trascelte e pure accennate, lasciando le altre ai poeti a cantare, ai mimi stessi a rappresentare, ed a te a ritrovarle simili a queste che t’ho dette: delle quali tutte quante il mimo deve avere una buona e gran dovizia sempre pronta. E giacchè egli è imitatore, e vuole con gli atteggiamenti mostrare i fatti cantati dai poeti, gli è necessario, come agli oratori, studiar la chiarezza, per modo che ciascun atto, ciascun movimento della sua rappresentazione sia evidente e non voglia interpetre; ma, come dice l’oracolo d’Apollo, chi vede il mimo deve intendere il mutolo, e udire uno che non parla. E così dicesi avvenne a Demetrio il cinico. Sprezzava egli, come fai tu, l’arte del ballo, dicendo che il mimo è un’appendice del flauto, delle siringhe, e delle nacchere, che ei non conferisce niente alla rappresentazione con quei suoi movimenti irragionevoli e vani, e nei quali non c’è nessun pensiero; che gli spettatori sono affascinati da tutt’altro, dalla veste serica, dalla bella maschera, dal flauto, dai gorgheggi, dal bell’accordo delle voci; e che tutte queste cose son quelle fan piacere la mimica, che per sè è nulla.
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