Trovossi in quel tempo, che fu sotto Nerone, un mimo assai riputato, che, come dicono, non era sciocco, ma aveva a mente molte istorie, e le gestiva benissimo: questi pregò Demetrio di cosa che parmi giustissima, di vederlo atteggiare, e poi biasimarlo; e si offerì di mostrarglisi senza flauto e senza canto: e così fece. Imposto silenzio alle nacchere, ai flauti, ed al coro stesso, ei da sè solo atteggiò la tresca di Venere e di Marte; il Sole che fa la spia, Vulcano che sta in agguato, e te li acchiappa tutti e due nella rete, ciascuno degli altri Dei che sopraggiungono, Venere tutta vergognosa, Marte alquanto timoroso che prega, e tutto il resto di quell’ istoria; e il fece per modo che Demetrio dilettatone assai, diede una grandissima lode al mimo, gridando a gran voce: Io l’odo quel che tu fai, non lo vedo solamente, e mi pare che tu parli con coteste mani. E giacchè siamo a parlar di Nerone, voglio dirti un fatto che avvenne ad un barbaro con questo stesso mimo, e che sarà una grandissima lode della mimica. Un barbaro di sangue reale essendo venuto dal Ponto a Nerone per certo affare, stava con gli altri spettatori a riguardare quel mimo, il quale così bene e chiaro gesteggiava, che egli, quantunque non intendesse il canto, perchè egli era mezzo greco, pure comprendeva ogni cosa. Quando fu per tornarsene a casa, abbracciandolo Nerone e confortandolo a chiedere se cosa gli piacesse, che ei gliela darebbe, quei rispose: Se mi darai quel mimo mi farai un piacere grande. E dimandandogli Nerone: Che ne vuoi fare nel tuo paese?
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