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      «Quando fu ora ci adagiammo a cenare sovra seggiole e scanni: la cena era a scotto. Erano preparati molti e vari camangiari, piedi di porco, prosciutti, mammelle di scrofa, matrice con tutto il porcelletto drento, e fegato in tegame, e agliate, e porrate, e cotali altri ammorsellati, e schiacciatunte, e invoglie in pampini, e dolciumi, e melate: degli abitatori delle acque molti cartilaginosi, e quanti hanno i gusci, e le sportelle di conchiglie, ed anguille di Copai(65) e gallina di stia, e gallo senza canto(66), e pesce di peschiera. E ci avemmo un pecoro intero infornato, e un coscione di bue sdentato. Pan buffetto non cattivo, ce n’era fatto dal novilunio, un po’ stantio per la festa: c’erano erbe di sotterra e sopratterra: il vino era non vecchio, ma degli otri, non mosto, ma non cotto ancora. Tazze poi d’ogni maniera stavano su la credenza, e ciotola nascondifronte, e boccale di Mentore con comodo manico, e bombole, e guastade, molte di nobile creta, come le faceva Tericle, larghe, bene imboccate; quali di Focide, quali di Cnido, tutte leggerissime, tante piume al vento. I bicchieri eran calici e coppe scritte, e ce n’era a monzicchio sul bicchieraio(67). Intanto il laveggio sul cammino bollicando a ricorsoio ci rovesciò i carboni in capo, noi trincare a garganella, che ne eravam fradici; e poi ci ungemmo d’unguento di baccare. Uno ci carrucolò una piedipicchia ed una trigonistria(68). Poi chi si arrampicava sul tavolato per chiappar frutte, chi ballonzolava scoppiettando con le dita al suono, chi si teneva i fianchi per le risa.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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