«Qui Eudemo: Per me stamane di buon’ora mi ha mandato a chiamare Damasia, quei che fu già un bravo atleta, un gran vincitore, ed ora è invalido per vecchiaia. Lo sai, quello che ha la statua di bronzo in piazza. E mi ha ordinato di fare certi lessi, e certi arrosti(70): chè oggi doveva accasar la figliuola, e parava e scopava: ma gli è sopravvenuto un accidente che ha guastata la festa. Il suo figliuolo Dione non so per qual malinconia o per qual ira divina s’è impiccato per la gola. E avete assapere che saria morto se sovraggiunto io non lo avessi spiccato, e scioltogli il laccio, e non mi fossi inginocchiato vicino a lui solleticandolo, cullando e scampanando acciocchè gli si slargasse la gola. E quel che più approdò fu che tenendolo con tutte e due le mani gli ho calcato il rilevato. — Ed io: Qual Dione tu di’? Forse quel bagascione, con tanto di coglie, quel fregnone, quel ragazzaccio masticalentischio(71), che va palpando e segando chi ha la ventura più grossa? quel che chiappa e poppa? — Ed Eudemo: Ma la Dea fece il miracolo, chè hanno una Diana in mezzo al cortile, ed è statua di Scopa: le si gettarono appiè Damasia e la moglie, due vecchi col capo tutto bianco, e la pregarono che avesse pietà di loro. Ella subito accennò, ed egli si salvò, ed ora lo chiamano Diodato, anzi Dianodato. Alla dea poi han botate tante cose, e frecce, ed arco, perchè queste cose le piacciono, ed è arciera, e lungi-saettante, e lungi-pugnante Diana.
«Beviamo ora, disse Megalonimo; chè v’ho portato questo fiasco del vecchio, e cacio fresco, e ulive calterite (che le serbo chiuse a sette suggelli), ed altre ulive in acqua, e queste tazze di buona creta e largo fondo per berci, e una schiacciatunta con minugia minuzzate.
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