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      Eppure da prima mi veniva a riderne: ma n’hai dette tante, e tutte d’un modo, che m’è venuto pietà di te, vedendoti impigliato in un laberinto inestricabile, caduto in una gran malattia, o piuttosto impazzito. Onde io dimando a me stesso, donde diamine hai raccolte tante ribalderie, per quanto tempo e dove hai tenuto nascosto questo formicaio di strane e storte parole, parte foggiate da te, parte disseppellite di sotterra? Come dice il giambo:
      Fossi ammazzato! tutti li hai raccoltiI malanni degli uomini.
      Hai ammassato tanto fango, e me l’hai rovesciato in capo, senza che io t’abbia fatto alcun male. Io credo che tu non ti sei scontrato mai in un amico, un famigliare, un affezionato, un uomo libero, che parlandoti schietto ti avesse medicato di cotesto male: chè tu sei idropico, sta per iscoppiarti la pancia; e a te pare di star bene in carne, e che la malattia sia salute: e però fai maraviglia agli sciocchi, che non conoscono il mal che patisci, e fai pietà ai savi. Ma io vedo il buon Sopoli, il medico che si avvicina: via, ti metteremo in mano a lui, parlerem della malattia, e ci troverem qualche rimedio. Egli è un uomo savio, ed ha avuto per mano molti, come te mezzi pazzi, e con altri catarri di testa, e li ha risanati. Buon dì, Sopoli, guariscimi questo Lessifane, che, come sai, è mio amico, ed ha una malattia nuova, il farnetico della lingua, e v’è pericolo che lo perdiamo: trova tu un mezzo per salvarlo.
      Lessifane. Non me, no, o Sopoli, ma esso Licino: egli è vero mazzamarrone, e tiene gli uomini cordati per balocchi, e come se fosse il Samio figliuol di Mnesarco c’impone zitto e frenalingua.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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