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      Ma innanzi tutto ricordati di questo, di non imitare la falsissima maniera dei sofisti moderni, nè di andar rosicchiando le loro porcherie, ma buttali, e seguita gli antichi esempi: non lasciarti prendere al solletico delle parole ventose, ma il tuo cibo consueto sia solido, come quello degli atleti. E specialmente sacrifica alle Grazie ed alla chiarezza che ora sono molto lontane da te; e smetti la boria, la saccenteria, il mal vezzo di mugolare e di belare quando reciti, e il beffarti degli altri, e il credere che tu sarai il primo se disprezzi tutti quanti. Un altro errore non piccolo, anzi grandissimo, tu fai, che non prepari prima il concetto e poi lo adorni di frasi e di parole, no; ma se ti capita tra’ piedi una parola sperduta, o pure la formi tu e ti pare bella, a questa cerchi di accomodare un concetto, e ti pare gran peccato se non la ficchi in qualche parte, ancorchè la non c’entri e non quadri al discorso: come poco fa gittasti quello stizzone, senza sapere che significa, e se lì calzava. Tutti gl’ignoranti t’ammirarono colpiti dalla novità; ma i savi risero di te, e di essi che ti lodavano. Ma il più ridicolo è che tu tenendoti per atticissimo, e studioso delle antiche eleganze della lingua, mescoli nel tuo discorso parecchie anzi moltissime parole nuove e strane, e pigli svarioni che neppure un fanciullo che comincia ad andare a scuola. Credimi pure, che io volevo essere sotterra quando tu sfoggiando la tua eloquenza, dicesti che un uomo andava vestito di zendado, e seguito da ancelli: eppur chi non sa che zendado è vesta di donna, e le ancelle son femmine non maschi? e ne sciorinasti molte altre più grosse di queste, che non ci stanno neppure a pigione nella lingua degli Ateniesi.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Ateniesi