Ti prego per Venere, e non dire che io ne voglia di troppo, se hai avuta qualche altra passioncella per garzone o fanciulla, di richiamartela a mente. Oggi poi è giorno di festa, e si fa sacrifizi ad Ercole: e tu sai bene questo dio quanto era vivo per Venere: però credo che questi discorsi gli saranno graditissimi come un sacrifizio.
Teomnesto. Piuttosto, o Licino mio, potresti annoverare l’onde del mare; o i fiocchi della neve di cielo, che i miei amori. Io credo che essi hanno votata tutta la faretra con me, e se vogliono volare contro un altro, sono disarmati, e ci rimangono sciocchi. Da che saltai la granata ho covato sempre una nidiata d’amori, che nascono gli uni dopo gli altri, e innanzi che i primi mettano l’ali, i secondi picchiano al guscio: sono più delle teste rinascenti dell’idra di Lerna, e non ci vale aiuto di Iolao, chè fuoco non spegne fuoco. Mi sta negli occhi uno spiritello così lascivo, che è ghiotto di ogni bellezza, e non sazio mai. Onde io spesso vo ripensando, che può essere questo sdegno di Venere con me: io non sono della schiatta del Sole,(79) non l’ho offesa come le donne di Lenno,(80) non ho l’accigliata salvatichezza d’Ippolito; perchè la dea ha quest’ira implacabile contro di me?
Licino. Lasciala cotesta finzione d’increscimento, che qui non ci cape, o Teomnesto. Ti spiace che fortuna ti dia tanto bene, ti pare duro a startene tra belle donne e fioriti garzoni? Sì, ti ci vorrà un sacrifizio per mondarti di sì increscevole malattia, chè il patire è grande.
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