Sazio di rimirare, e pensando di ritornarmene a casa, ebbi un piacere dolcissimo in paese forestiero, d’incontrarmi in due antichi amici, che anche tu devi conoscere ed averli veduti spesso venire da me, Caricle di Corinto, giovane non brutto, sempre lindo ed attillato per pavoneggiarsi con le donne, ed insieme con lui Callicratide ateniese, di maniere semplici, che primeggiava specialmente nell’eloquenza politica e nell’oratoria del foro, ed era anche vago degli esercizi del corpo, e non per altra cagione, a creder mio, bazzicava nelle palestre, che per amor dei garzoni: di questi egli andava pazzo, e per odio alle femmine bestemmiava Prometeo. Come dunque entrambi mi videro da lungi, lieti ed allegri mi corsero incontro: ci abbracciammo, come si suole, e ciascuno voleva menarmi a casa sua: ed io vedendoli contendere alla dura: O Callicratide, dissi, o Caricle, amici miei, oggi è meglio venir voi tuttedue da me, acciocchè finisca la contesa: nei giorni seguenti (chè son risoluto di rimanerci altri due o tre) mi conviterete a vicenda, e la sorte deciderà chi sarà il primo. Così ci accordammo. In quel dì feci io il convito, nel seguente Callicratide, poi Caricle. E quand’io desinai da loro vidi manifesti segni dell’umore di ciascuno. L’ateniese era fornito di leggiadri donzelli, tutti i suoi servi erano giovanotti, che rimanevano con lui sino a che avevano la faccia ombrata della prima lanugine, e quando poi i peli s’addensavano su le gote, ei te li mandava per castaldi e fattori nei suoi poderi in Attica.
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