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      Specialmente verdeggiava pieno di coccole il mirto, che presso la sua regina cresceva rigoglioso e superbo, e ciascuno degli altri alberi che hanno vanto di bellezza, i quali per vecchiaia non seccano, ma mettono nuovi rampolli, e son sempre giovani. Misti a questi v’erano altri alberi infruttiferi, ma che hanno vaghezza invece di frutto, come cipressi, e platani con le aeree cime, e l’albero di Dafne già fuggitiva di Venere e tanto schiva. Ad ogni albero s’aggrappava e aggraticciava l’edera amorosa: e le pampinose viti pendevano cariche di grappoli; chè più dilettosa è Venere insieme con Bacco, la loro dolcezza è mista, e se li dividi piacciono meno. Sotto l’ombra più fitta del boschetto sono lieti sedili per chi vuole banchettare, dove raramente va qualche persona civile, ma il popolo vi corre a folla nelle feste, e vi fa ogni sacrifizio a Venere. Pigliato assai diletto di quelle piante, entrammo nel tempio. Nel mezzo sta la statua della dea di marmo pario, bellissima, splendidissima, e con la bocca mezzo aperta ad un sorriso. Tutta la sua bellezza è scoperta, non ha veste intorno, è nuda, se non che con l’una mano cerca ricoprire il pudore. Tanto potè lo scultore con la sua arte, che la pietra così ripugnante e dura pare morbidissime carni. Sicchè Caricle, come uscito fuori di sè, ad alta voce gridò: O Marte felicissimo fra gl’iddii, che fosti legato per costei! E così slanciandosi con le labbra strette, ed allungando quanto poteva il collo, la baciò. Callicratide rimase tacito, e in sua mente ne maravigliava.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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