Eppur quanto minor male è che la donna infurii di maschile lussuria, che l’uomo caggia di sua nobiltà ed infemminisca?
Dette queste cose con molta commozione di animo, Caricle cessò, e rimaso intorato ci faceva l’occhio del porco, e parevami come se volesse forbirsi di quella sozzura degli amori fanciulleschi. Io placidamente sorridendo, e voltomi all’ateniese, dissi: Io m’attendeva, o Callicratide, di dover giudicare in causa di scherzo e di riso, e non so come Caricle è entrato nel grave, e l’ha fatta seria. Quasi contendesse innanzi l’Areopago per causa d’omicidio, d’incendio, d’avvelenamento, si è tutto commosso. Ora dunque più che mai ci vuole la tua Atene; e l’eloquenza di Pericle, e le lingue de’ dieci oratori armati contro i Macedoni ora devi sfoderarle in un discorso, che ci ricordi qualcuna delle aringhe di parlamento. E Callicratide stato alquanto sopra di sè (chè all’aspetto sembrommi anch’egli pensoso di quella disputa), così alla sua volta incomincia.
Se le donne avessero adunanze, tribunali e maneggi di pubblici affari, te, o Caricle, sceglierebbero loro capitano o duca, e a te nelle piazze rizzerebbero statue di bronzo. Imperocchè neppure quelle che tra loro sono celebrate per sapienza, se mai avessero facoltà di parlare, parlerebbono in loro difesa con tanta caldezza; non quella Telesilla armata contro gli Spartani,(86) e per la quale Marte in Argo è annoverato fra gl’iddii delle donne; non la melata Saffo, gloria di Lesbo; nè la figliuola della pitagorica sapienza, Teano; e forse neppur Pericle così difese Aspasia.
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