Ma a che riando quelle arcane cose?
Quando s’è giunto a questo, amore arroventa i ferri, come dice il comico, e martella su l’incudine. Così vorrei amar garzoni io. Quei dottori sputasenno e quei filosofi che hanno le sopracciglia inarcate al disopra delle tempie, contino agli sciocchi le loro frasche e i loro paroloni; chè Socrate era un amadore, come ogni altro; ed Alcibiade che si corcò con lui sotto la stessa coltre, non se la passò così netta. Non è maraviglia: chè neppure Patroclo era amato da Achille per sedergli soltanto dirimpetto,
Dalle labbra pendendo del Pelide
Finchè finisse il canto,
ma in mezzo alla loro amicizia c’era quel piacere. Infatti Achille gemendo per la morte di Patroclo, e non sapendo celare l’affetto, uscì a dire la verità:
E quell’uso di stare santamenteFra le tue cosce io piango.
E quei mattinatori che i Greci chiamano Comasti, io credo che sieno amadori di professione. Oh, qui dirà alcuno, queste son porcherie e non si debbono dire: sì, ma sono anche verità, per la Venere di Cnido.
Licino. Basta qui, o caro Teomnesto: io non voglio che tu trovi un appicco per fare tu un terzo discorso. Le son cose coteste che si ponno udire solamente in un giorno di festa: e poi sieno sempre lontano dalle orecchie mie. Ma tronchiamo ogni indugio, e usciamo in piazza: già è l’ora che si accende la pira in onore di Ercole in commemorazione di ciò che avvenne sul monte Oeta, ed è uno spettacolo piacevole a riguardare.
Correzioni apportate nell’edizione elettronica Manuzio:
che due sono gli Amori = chè due sono gli Amori
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