Queste tali a me paiono simili ai templi egiziani, bellissimi e grandissimi edifizi, lavorati di pietre preziose, ornati di oro e di pitture, ma se dentro vi cerchi il dio, è una scimia, o un ibi, o un becco, o una gatta. E di queste se ne vedono tante! Non basta adunque la bellezza se non è ornata dei veri ornamenti, non di vesti di porpora e di collane, ma di quelle virtù che testè dicevo, di modestia, di mansuetudine, di umanità, e di altre simili a queste.
Licino. Ebbene, o Polistrato, parole per parole, compensami con la stessa misura, come si dice, anzi con migliore, chè ben lo puoi: e dipingimi l'immagine dell'animo di costei, acciocchè io non l'ammiri a mezzo.
Polistrato. Amico mio, tu non mi metti a piccola gara: chè non è la stessa cosa lodare ciò che apparisce a tutti e dichiarare con parole ciò che non è manifesto. E credo che per fare l'immagine avrò bisogno anch'io d'aiuto, non pure degli scultori e dei pittori, ma dei filosofi ancora, perchè il ritratto corrisponda alle loro regole, e sia perfetto secondo l'arte antica. Ora via facciamolo. E primamente un parlar chiaro, armonioso, e più dolce del mele scorre dal labbro di costei più che del vecchio di Pilo, come direbbe Omero. Il tuono della voce morbidissimo, non grave che si accosti al virile, nè troppo sottile che paia del tutto femineo e languido, ma come saria quello d'un fanciullo non ancora pubere, soave e carezzevole, entra dolcemente nell'orecchio, per modo che anche quando la parola cessa, rimane la voce e s'aggira nell'orecchio, come un'eco che prolunga l'udito, e lascia nell'anima le orme delle parole piene di dolcezza e di persuasione.
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Polistrato Pilo Omero
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