Queste e simiglianti cose ella diceva, lodando per tutt'altro la tua scrittura; ma non poteva tollerare che tu l'hai paragonata alle dee Venere e Giunone. Questo è troppo per me, diceva, anzi è troppo per la natura umana. Io non ti passo neppure di avermi paragonata a quelle eroine, a Penelope, ad Arete, a Teano, molto meno alle maggiori tra le dee; chè gli dei, diceva ella, io li venero assai e li rispetto. Temo adunque che non mi accada come a Cassiopea, se accetto questa lode: benchè ella si agguagliava soltanto alle Nereidi, e rispettava Giunone e Venere. Onde, o Licino, ella comanda che tu cassi quel tratto, se no ella se ne scagionerà con le dee che tu l'hai scritto suo malgrado; e vuole che tu sappia come a lei dispiace che il libro vada intorno così, come ora sta, senza rispetto e timor delle dee: perchè crede che parrà ella un'empia, e sarà sua la colpa a permettere di essere paragonata alla Venere di Cnido, ed a quella degli orti. Ricórdati le parole che in fine del libro hai dette di lei, come ella è modesta, senza superbia, non si leva su la condizione umana, ma vola terra terra: e dopo quelle
parole la porti in cielo, e l'agguagli alle dee? Voleva che tu non le dessi manco senno di Alessandro, il quale, quando un architetto gli offerì di trasformare il monte Ato, e di figurarlo a somiglianza di esso Alessandro, per modo che tutta la montagna diventasse una statua del re, tenente due città nelle mani, non accettò quella offerta prodigiosa; ma stimando che era un ardire maggiore delle sue forze, acchetò quell'architettore di poco probabili colossi, e comandò che monte Ato restasse al posto suo, e non fosse rappicciolito rassomigliando a un corpiciattolo.
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