Per un'altra cagione ancora io ti so grado assai: perchè avendo io lodata la moderazione dell'animo tuo, e che l'altezza in cui sei non ti fa superbire nè gonfiare, tu riprendendo questa parte dello scritto, confermasti la verità della lode. Il non pigliarsi queste lodi, ma vergognarsi, e dire che le son troppe per te, è indizio di animo modesto e civile. Ma di quanto tu sei più schiva d'essere lodata, di tanto più degna ti mostri di maggiori lodi. Questo è il caso del detto di Diogene, il quale dimandato: come uno può divenir glorioso? rispose: se disprezza la gloria. E se uno dimandasse a me: chi sono i più degni di lode? risponderei: quelli che non vogliono essere lodati. Ma questo forse non c'entra, e mi dilunga dalla quistione. Il punto sul quale io debbo difendermi è, che io figurando le tue forme, ti ho paragonata alla Venere di Cnido, a quella degli Orti, a Giunone, a Minerva. Questo t'è paruto eccessivo e smisurato: e di questo appunto io parlerò. Antico è il detto che non danno malleveria nè poeti nè pittori; molto meno i lodatori, credo io, ancorchè tengano un linguaggio basso e pedestre come il nostro, e non si innalzino su i versi. Perchè la lode è cosa libera; nessuna legge ne assegna la grandezza o la brevità; ella non mira ad altro che a fare ammirare ed imitare il lodato. Ma io non voglio seguitar questa via, acciocchè tu non creda che io, per non aver che dire, m'appigli alle funi del cielo. E dico che tu devi sapere come noi tra gli altri luoghi di questi discorsi laudativi abbiamo che il lodatore deve usare d'immagini e di paragoni.
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