Subito menan via i bestiami, raccolgono prigioni, saccheggiano le tende, pigliano i carri con tutte le donne che vi sono dentro, e innanzi agli occhi nostri ci oltraggiano le concubine e le mogli; e a noi ne scoppiava il cuore. Amizoco tratto prigione, legato, e maltrattato, chiamava a nome l’amico a gran voci, e gli ricordava il calice ed il sangue. L’udì Dandamide, e tosto, a vista di tutti, gettasi a nuoto, e passa ai nemici: e già i Sarmati incoccavano le frecce e stavano per trafiggerlo, ma ei gridò: Ziri. Chi dice questa parola non è più ucciso da essi, ma è accolto come chi viene per una taglia. Menato innanzi al loro capo, richiede l’amico, e quei chiede la taglia; e, se non è grossa, nol renderà. Disse Dandamide: Ciò che io avevo, tutto mi è stato rapito da voi: se così nudo come m’avete ridotto, io son buono a qualcosa, eccomi pronto ai vostri voleri, comandami: se vuoi, prendi me invece di lui, e fa di me ciò che ti piace. Ed il Sarmata: No, disse, non possiamo ritenerti tutto quanto, perchè tu sei venuto con Ziri: ma lasciaci una parte di te, e conduciti l’amico. Dandamide domandò: Quale volete? Quei chiese gli occhi. Ed egli subito: Eccomi, cavatemeli. E poichè gli furono cavati, ed i Sarmati ebbero la taglia voluta, egli prendendo Amizoco, se ne tornò, appoggiandosi a lui, ed insieme rivalicato il fiume, si salvarono tra noi. Di questo fatto si consolarono tutti gli Sciti, e non più si credettero vinti, vedendo che il più grande dei nostri beni non ce lo avevano tolto i nemici, e che avevamo ancora l’animo invitto e la fede negli amici.
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