Quando dipoi uno rimproverò Abauca, perchè lasciati i figliuoli e la moglie avesse preso Gindane, egli rispose: Figliuoli posso farne facilmente, e pure non so se saran buoni; ma per molto tempo non potrei trovare un altro amico come Gindane, che m’ha date tante pruove d’affetto.
Ho detto, o Mnesippo, tra molti questi cinque fatti venutimi a mano. Ora si dee decidere chi di noi due dovrà aver tagliata o la lingua o la destra. Chi dunque giudicherà?
Mnesippo. Nessuno: chè non abbiamo stabilito un giudice del nostro discorso. Ma sai che faremo? Giacchè ora abbiamo saettato senza bersaglio, un’altra volta prenderemo un arbitro, e gli conteremo di altri amici: e poi chi sarà vinto avrà tagliata o io la lingua, o tu la mano. Ma no: saria una stoltezza. Giacchè tu hai in gran pregio l’amicizia, ed io la tengo come la cosa più bella e più preziosa che gli uomini possano possedere; perchè anche noi non facciamo un patto di essere amici da questo punto, e di amarci per sempre? Così entrambi vinceremo, ed avremo grandi premi, chè invece di una lingua e di una destra ciascuno di noi ne avrà due, e avrà quattr’occhi, e quattro piedi, e in tutto sarà doppio. Due o tre amici uniti sono come il Gerione, che i dipintori rappresentano con sei mani e tre teste, perchè io credo che questa sia una figura di tre amici che fanno ogni cosa insieme concordemente.
Tossari. Ben dici: e facciamo così.
Mnesippo. Ma non ci è bisogno, o Tossari, nè di sangue nè di scimitarra per assodare la nostra amicizia. Il presente ragionamento, e la simiglianza de’ sentimenti, ci legheranno più che quel calice in cui voi bevete: perchè io credo che in questo bisogna sentimento non giuramento.
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