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      A costui sono venduto per un prezzo buono, per trenta dramme, e molto di male gambe seguo il mio nuovo padrone. Quando venimmo dove abitava Filebo (così aveva nome il mio compratore), innanzi la porta gridò a gran voce: Ecco qui, o zitellucce, vi ho comperato un bello schiavo, ben gagliardo, e di quei di Cappadocia. Erano queste zitellucce un branco di bardassi che facevano lo stesso mestiere di Filebo: e tutti quanti a quella voce rispondono, bravo! bravo! credendo davvero che aveva comperato un uomo; ma come videro che lo schiavo era un asino, davan la baia a Filebo: Non è schiavo questo, ma lo sposo che ti hai menato a casa per te. Col buon pro farai queste belle nozze, e subito ci partorirai de’ bei poltracchini. E se la ridevano.
      Il giorno dopo si messero al mestiere, com’essi dicevano: ed allestita la dea, me la posero addosso; e usciti della città ci demmo a girare per le campagne. Quando ci avvicinavamo ad un villaggio, io che portavo il baldacchino della dea mi fermavo; ed essi, quali con le trombe sonavano una furiosa strombazzata, e quali, gettate via le mitre, col capo basso torcendo il collo, con coltelli s’intaccavano le braccia; e ciascuno cavava tanto di lingua fuor de’ denti, ed anche se la intaccavano: onde in breve ogni cosa era pieno di sangue. Ed io vedendo questo me ne stavo tutto tremante, che forse la dea non avesse bisogno anche di sangue d’asino. E come s’erano conciati a questo modo, dalla gente che s’affollava a vederli raccoglievano oboli e dramme, e chi dava fichi secchi, chi cacio, e fiaschi di vino, chi un medinno di grano, e orzo per l’asino.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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