E così essi campavano, e servivano la dea ch’io portava addosso. Una volta essendo entrati in uno di quei paeselli, ti adescano un giovanotto di quei villani ben robusto, lo tirano dentro dov’erano alloggiati, e da lui si fanno fare ciò che sogliono ed amano questi sporchi bagascioni. Io oltremodo sdegnato che per la mia trasformazione dovessi tollerare anche quella indegnità, volli gridare: Oh Giove, che tanto sostieni! ma non mi uscì del gorgozzule la voce mia, sì quella dell’asino, e feci un gran ragghio. Alcuni villani, che a caso avevano perduto un asino, e lo andavano cercando, udito il mio vocione, entrano dentro senza dir niente a nessuno, credendo che io fossi l’asino loro, e colgono i bagascioni in atto delle loro nefandigie. Le risa loro nell’entrare furon grandi; ed usciti, per tutto il villaggio fanno un gran dire e gran parlare della sporcizia dei sacerdoti. I quali così bruttamente svergognati, la notte appresso quatti quatti se la svignarono: e giunti in una via solitaria si sdegnano e si arrovellano contro di me, che avevo divulgato i loro misteri. Finchè parlarono, non me ne curai, ma il male venne dopo, e mi dolse; chè togliendomi la dea dal dosso la posero a terra, e strappatemi tutte le coverte, e così nudo mi legano ad un grand’albero; e poi con quella scuriada che ha gli ossicini in punta, me ne diedero tante che quasi mi finirono; ripetendomi: Porta la dea, e statti zitto. E dopo la disciplina avevan fatto consiglio di scannarmi perchè io li aveva così svergognati, e costretti a sbrattare il paese senza potere esercitare il mestiere; ma non mi uccisero per un rispetto alla dea che stava lì a terra, e non aveva come viaggiare.
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Oh Giove Porta
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