E così dopo le staffilate ripiglio la padrona, e cammino. Verso sera abbiamo alloggiamento in una villa di un ricco uomo, il quale era dentro, e volentieri accolse in casa la dea, e le offerì sacrifizi. Quivi mi ricordo che io corsi un gran pericolo. Il padron della villa aveva avuto in dono da un amico una coscia d’asino salvatico, la quale il cuoco doveva preparare, e per sua negligenza se la fece rubare da alcuni cani entrati di soppiatto in cucina: ond’ei temendo le battiture ed il tormento per la perdita di quella coscia, si voleva impiccare. Ma la moglie sua, che fu il malanno mio, gli disse: No, caro mio, non pensare a morire, nè disperarti così. Odi me, e farai tutto bene. Piglia l’asino di questi effemminati, menalo fuori in disparte, e tagliatagli quella parte, quella coscia portala qui, preparala, e mettila innanzi al padrone: il resto dell’asino gettalo da una rupe. Si crederà che si sia fuggito, e dirupato. Vedi come sta bene in carne, che è molto migliore del salvatico? — Il cuoco lodando il consiglio della moglie: Ottima pensata, o donna mia, disse: solo così posso fuggir le sferzate; e così farò. — Questo mio scellerato cuoco stando vicino a me, teneva questo consiglio con la moglie. Ma io vedendo la mala parata, pensai bene di salvarmi dal trinciante: e spezzata la cavezza e sparando calci, entro correndo nella sala dove i bagascioni cenavano col padrone della villa. E quivi entrato a furia rovescio ogni cosa coi calci, il candelabro, e le mense. Credevo di aver trovato un bell’espediente per salvarmi, e che il padron
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Ottima
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