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      della villa m’avria fatto subito serrare e custodire attentamente come asino bizzarro e feroce, ma l’espediente per poco non fu la mia rovina. Perchè credendo che io fossi arrabbiato, diedero di mano a spade, lance, pertiche, e stavano per uccidermi: ma io veduta la tempesta grande me ne scappo nella stanza, dove dovevano dormire i miei padroni, i quali vedendo questo, chiusero bene la porta di fuori. Quando fu giorno, levata la dea un’altra volta, vado con quei paltonieri, e giungiamo in un’altra terra grossa e popolosa, nella quale tante ne impastocchiano quei furbi che persuadono a quella gente non dovere la dea rimanere in casa d’un uomo, ma essere ospitata nel tempio di un’altra dea che quivi era in grande venerazione; e i terrazzani volentieri ricevono la Dea forestiera, alloggiandola con la dea loro; e a noi assegnano una casa di certi poveri uomini. Quivi dimorarono parecchi giorni quelle gioie de’ miei padroni; e quando vollero andarsene in una terra vicina, richiesero dai terrazzani la dea: ed essi stessi entrati nel tempio, se la pigliarono, me la posero addosso, e andaron via. Ma i ribaldi entrati in quel tempio avevano rubata una coppa d’oro offerta in voto, e l’avevano nascosta sotto le vesti della dea. Come i terrazzani s’accorsero di questo, subito ci corsero appresso, e quando ci furono sopra, smontano dai cavalli, te li acchiappano in mezzo la via. Ah, ladroni scellerati, dov’è il voto che avete rubato? Rovistano ogni cosa, e trovano la coppa in seno alla dea.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Dea