Legano adunque quegli effeminati, e li menano indietro: li mettono in carcere, la dea che portavo io pigliano e allogano in un altro tempio, restituiscono la coppa d’oro alla dea del paese. Il giorno appresso stabiliscono di vendere tutte le robe, e me ancora.
E mi vendono ad un forestiero d’una terricciuola vicina, il quale faceva l’arte del panattiere. Questi mi prese, e comperati dieci medinni di grano, mi carica del grano, e mi mena a casa sua per una via faticosa. Come giungiamo mi conduce dentro il mulino, dove vedo un gran numero di giumenti, i quali servivano a girare molte macine che lì stavano, ed erano tutti pieni di farina. Io che allora era servo novello, e avevo portato un peso gravissimo, ed ero venuto per una via faticosa fui lasciato riposare lì dentro: ma l’altro giorno mi mettono una benda agli occhi, mi attaccano al timone della macina, e tocca. Io sapevo come si deve macinare, chè l’avevo imparato più volte; ma fingevo di non sapere, e mi riuscì corta. Chè pigliate le mazze, molti mugnai mi circondano, e mentre meno me l’aspettavo perchè non ci vedevo, le mazzate fioccano, e mi fanno subito girar come una trottola. E così imparai a pruova che il servo nel fare il dovere non deve aspettare la man del padrone.
Essendomi però fatto magro e sparuto, il padrone deliberò di vendermi, e mi vendette ad un ortolano, il quale aveva preso un orto a coltivare: e la fatica che facevamo era questa. La mattina il padrone mi caricava di ortaggi, li portava al mercato, li consegnava ai trecconi, e mi rimenava nell’orto.
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