Questi fratelli stavano sempre insieme, abitavano nella stessa casuccia, dove avevano insieme gli attrezzi delle loro arti, e dove allogarono anche me. Dopo la cena del padrone, ambedue portarono dentro molti rilievi, uno di carni e di pesci, l’altro di pani e di focacce: chiusomi dentro con tutto quel bene, e lasciatomi a fare una dolcissima guardia, se ne uscirono per lavarsi. Io lasciando stare l’orzo dove stava, mi getto sopra le manifatture ed i guadagni de’ miei padroni, e finalmente dopo tanto tempo mi fo una satolla dei cibi che mangiano gli uomini. Tornati a casa non s’accorsero della roba mangiata, perchè ce n’era assai, ed io m’avevo rubato il mangiare con certo timore e moderazione. Ma come io, sprezzando la loro sciocchezza, mi pappava i migliori bocconi, ed i più grossi, s’accorsero finalmente del danno; e l’uno sospettò dell’altro, e chiamava ladro l’altro, chè rubava la roba comune ed era uno svergognato; e ciascuno stava attento al suo, e annoverava i pezzi. Io intanto scialava nel bene, e sguazzava: il corpo pel cibo consueto mi era tornato bello, il pelo rifioriva, la pelle luceva. Quegli uomini dabbene vedendo che io mi fo grosso e grasso, e l’orzo non tocco rimane sempre quant’era, vengono in sospetto del fatto mio: ed usciti, come per andare al bagno, serrano la porta, e messi gli occhi per una fessura, vedono ogni cosa dentro. Ed io allora non sapendo dell’inganno mi avvicinai a pranzare. Quei da prima ridono vedendo il nuovo pranzo: chiamano gli altri servi a vedermi, e le risa furono più grandi: onde anche il padrone udì le risate e lo schiamazzo che facevano, e dimandò perchè si rideva così lì fuori.
| |
|