Io odo dire a tutti che niente è più potente della Fortuna e del Fato.
Giove. Ah, non è permesso di saper tutto, o Cinico. Ma perchè m’hai fatta questa dimanda intorno alle Parche?
Il Cinico. Dimmi prima quest’altra cosa, o Giove, se esse comandano anche a voi, e se anche voi dovete pendere dal loro filo.
Giove. Sì, dobbiamo, o Cinico. Ma perchè sorridi?
Il Cinico. Perchè mi ricorda di quei versi d’Omero, nei quali egli ti fa aringare in un’adunanza degli Dei, e minacciarli di sospendere il mondo ad una catena d’oro; e ti fa dire che se tu calassi quella catena dal cielo, e tutti gli Dei l’afferrassero e si sforzassero a trarti giù, non ti smuoverebbero; ma che tu, volendo, facilmente solleverestiEssi, e tutta la terra, e tutto il mare.
Allora io ti credetti di una forza maravigliosa, ed a quei versi io raccapricciai di paura; ma ora io ti vedo con tutta la catena e le minacce sospeso (e tu l’hai detto) a un sottile filato. Parmi che più giustamente si dovria vantar Cloto, che tiene te sospeso al fuso, come i pescatori tengono alla canna i pesciolini.
Giove. I’ non so che vuoi conchiudere con tante dimande.
Il Cinico. Questo, o Giove. Ma per le Parche e per il Fato, deh, non farti aspro, non incollerirti che io ti dico schietto la verità. Se egli è così, se le Parche sono signore di tutti, e se nessuno mai potria mutare niente ai loro destinati, perchè noi uomini facciamo sacrifizi a voi, vi offeriamo ecatombe, e vi preghiamo di darci i beni che desideriamo? Io non vedo che frutto noi caviamo da questo culto, se per preghiere non possiamo nè stornare il male, nè ottenere il bene da qualche iddio.
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