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      Che io ne sappia dipiù forse non lo vuole il Fato.
     
      XLIII.
      GIOVE TRAGEDO(118)
     
     
      Mercurio.
      O Giove, a che solo e pensoso vaiStrolagando fra te, sì giallo in grinta,
      E in cera di filosofo passeggi?
      Fidati in me: che affanni hai tu? d’un servoNon dispregiar l’allegra barzelletta.
      Minerva.
      Sì, padre nostro, Saturnide, sommoDe’ regi imperador, le tue ginocchia
      Abbracciando ti prego, ti prego ioL’occhiazzurrina Tritogenia tua:
      Parla, non chiudere il pensiero; dinneChe è che sì ti morde e petto ed alma,
      Che sì t’angoscia, e ti fa giallo in viso.
      Giove.
      Non v’è male, per dirvi, non sciagura,
      Non v’è caso sì tragico, che addossoA noi numi immortali non cadrà.
      Minerva.
      Ohimè! con quale esordio cominci!
      Giove.
      Oh, scellerati savi della terra!
      Oh, che male, o Prometeo, mi facesti!
      Minerva.
      Ma che è? dillo ad un coro di tuoi fidi.
      Giove.
      O terribile folgore e non stridi?
      Minerva. Ammorza l’ira; la commedia così non può durare; e noi non ci abbiamo ingozzato tutto Euripide per risponderti a tuono.
      Giunone. E credi che noi non sappiamo la cagione del tuo dolore qual è?
      Giove.
      Se la sapessi piangeresti assai.
      Giunone. La so, che è qualche amore: io non ne piango, chè già ho fatto il callo a tante e tante ingiurie che ho avute da te. Forse hai trovata qualche altra Danae, o Semele, o Europa, e te ne struggi, e vai mulinando di divenire toro, o satiro, o oro, e piovere dalla soffitta in seno alla ganza. Cotesti sospiri, coteste lagrime, cotesto giallore sono segni certi che sei innamorato.
      Giove. Beata te, che credi che io abbia il capo ad amore, e a cotali altre fanciullaggini.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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