(119)
Giunone. E che altro se non questo può addolorar te, che sei Giove?
Giove.
Siamo, o Giunone, all’ultimo cimento;
stiamo, come si dice, sul taglio d’un rasoio; se dobbiamo ancora aver culto ed onoranze su la terra, o essere del tutto spregiati e tenuti niente.
Giunone. Ma che? Forse la terra generò altri giganti? o i Titani, rotte le catene e vinta la custodia, levano di nuovo l’armi contro di noi?
Giove.
Sta’ certa, che laggiù tutto è sicuro.(120)
Giunone. Dunque che altro male ci può essere? Quando non ti duoli di ciò, io non vedo perchè ci fai il Polo e l’Aristodemo, invece d’essere Giove.(121)
Giove. Timocle lo stoico, e Damide l’epicureo, ieri non so come appiccarono una disputa intorno alla Provvidenza, e innanzi molte persone dabbene, il che più mi dolse. Damide diceva che gli Dei non esistono, e non guardano affatto, nè curano le cose del mondo: il buon Timocle sforzavasi di pigliare le parti nostre: ma sopraggiunta molta folla non si venne a nessuna conclusione. Si separarono, e si diedero la posta a continuare la disputa un’altra volta: ed ora tutti stanno in grande aspettativa di udirli, per vedere chi dei due vincerà e dirà il vero. Vedete in qual pericolo, e in quali strette ci ha messi un solo uomo? Una delle due: o saremo sprezzati e creduti nomi vani, o saremo onorati come prima, se Timocle vincerà la disputa.
Giunone. Questo è male davvero; e avevi ragione, o Giove, di lamentartene in tragico.
Giove. E tu credevi ch’io pensassi a qualche Danae, o Antiope, quando ho questi cancheri pel capo?
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