Mercurio. Che bisogna fare, o Giove? Per me sono impacciato. Se guardo la materia, è bronzo: se fo il conto di quanti talenti ci ha voluto per fabbricarlo, egli passa i ricchi di cinquecento medinni.
Giove. Ci voleva a venire anche costui per mostrare la piccolezza degli altri ed inquietarci per un seggio. O il miglior dei Rodiani, benchè tu meriti più onore di quelli d’oro, come potresti stare nei primi posti, senza far levare tutti gli altri, e sedere tu solo, che con una natica occuperesti tutto il comizio? Onde è meglio che tu rimanga in piè, e faccia come un’ombrella al consesso.
Mercurio. E questo è un altro imbroglio. Tutti e due di bronzo, e dello stesso artifizio, tutti e due lavori di Lisippo, e, quel che più monta, della stessa nobiltà, entrambi figliuoli di Giove, Bacco ed Ercole. Chi dei due avrà la preferenza? Già si bisticciano, come vedi.
Giove. Noi perdiamo tempo, o Mercurio; e già dovrebbe essere aperto il parlamento. Seggano ora dove diamine vogliono alla rinfusa: dipoi consulteremo di questo, ed allora io vedrò che ordine e luogo spetta a ciascuno.
Mercurio. Cappita! che fracasso! come gridano tutti insieme secondo fanno ogni giorno: Distribuzione! dov’è il néttare? è finita l’ambrosia. Dove sono l’ecatombe, e i sacrifizi comuni?
Giove. Imponi silenzio, o Mercurio, acciocchè sappiano perchè sono radunati, e non pensino a queste inezie, i ghiotti.
Mercurio. Non tutti, o Giove, intendono il greco: ed io non so tante lingue da farmi capire dai Persiani, dagli Sciti, dai Traci, dai Celti.
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