Mercurio. E comincia una volta.
Giove. Io credo che voi, o cittadini iddii, più dareste tutte le ricchezze del mondo per sapere che gran cosa è mai questa, per la quale siete ora ragunati: e se egli è così, conviene attentamente ascoltare le mie parole. La presente condizione, o Dei, quasi ne parla e dice, che ora è da prendere un gagliardo partito; e noi parmi ce ne curiamo poco. Ma ora voglio (giacchè mi vien meno Demostene) dirvi spiattellato qual è la cosa che mi turba, e mi ha fatto chiamar parlamento. Ieri, come sapete, padron Mnesiteo ci offerì un sacrifizio per avergli salvata la nave che stava per perdersi presso capo Cafareo; e quanti di noi Mnesiteo chiamò al sacrifizio, andammo a quel banchetto nel Pireo. Dopo le libazioni ognuno di voi altri se ne andò pei fatti suoi: io (perchè non era ancora tardi) me ne salii in città, per passeggiare in sul vespro, nel Ceramico; e andavo ripensando alla spilorceria di Mnesiteo, il quale, chiamati a convito sedici dei, ci sacrificò un sol gallo già vecchio e con la pipita, e quattro grani d’incenso tutto muffato, che subito si spense sul carbone, e non diede neppur tanto fumo che giungesse al naso: eppure egli aveva promesso le ecatombi quando la nave andava a rompere ad uno scoglio, ed era già data in secco. Tra questi pensieri giungo al Pecile, e vedo una gran fitta di gente, chi sotto il portico, chi allo scoperto, e alcuni che gridavano e contendevano seduti su quei poggiuoli. Supponendo, come era, che fossero di questi filosofi accattabrighe, mi venne voglia di udire da vicino ciò che dicevano; e giacchè mi trovavo chiuso in una densa nube, presi aspetto simile al loro, mi sciorinai sul petto la barba, e divenni un filosofo sputato: e dando gomitate di qua e di là, mi ficco tra la folla, senza essere conosciuto chi ero.
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